Celiachia: la ‘colpa’ potrebbe essere anche di un virus

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E’ molto probabile che alla base delle celiachia – la malattia con intolleranza al glutine del grano – vi possa essere anche un virus della famiglia dei reovirus. L’infezione di per sé sarebbe asintomatica, ma sembrerebbe ridurre la tolleranza naturale dell’organismo al glutine. Lo suggerisce uno studio pubblicato sulla rivista Science condotto in collaborazione tra l’Università di Chicago e quella di Pittsburgh che potrebbe gettare le basi per un vaccino preventivo da somministrare a bambini ad alto rischio di celiachia. Lo studio vede tra gli autori anche l’italiana Valentina Discepolo dell’Università di Chicago e dell’Università Federico II di Napoli.

La celiachia è una malattia autoimmune: le difese immunitarie del paziente, impropriamente ”risvegliate” dal glutine, vanno a danneggiare le pareti dell’intestino. “In questo lavoro sono stati studiati i reovirus – spiega uno degli autori Terence Dermody – una comune famiglia di virus che infettano quasi tutti gli esseri umani durante la loro vita. La maggior parte delle persone risultano infettate già in età prescolare. Tali infezioni raramente causano una malattia”.

Gli esperti hanno testato due ceppi di reovirus su topi vedendo che solo uno dei due è in grado di ridurre la tolleranza al glutine e quindi scatenare lo sviluppo della celiachia. L’infezione con questo virus induce una reazione infiammatoria intestinale e la perdita della tolleranza al glutine nella bocca. Gli esperti hanno poi visto che pazienti celiaci presentano nel sangue una quantità eccessiva di anticorpi specifici contro i reovirus e che questi pazienti presentano anche una quantità eccessiva della molecola ‘IRF1’, coinvolta nella perdita di tolleranza al glutine nella bocca.

“I nostri dati suggeriscono che in bambini ad alto rischio di celiachia (con familiari malati) l’infezione da reovirus al momento dell’introduzione del glutine nella dieta (durante lo svezzamento) potrebbe scatenare una reazione immunologica al glutine culminando nella malattia”, conclude Dermody.

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