Incontinenza urinaria: ne soffre il 30% delle donne italiane. Quando andare dal medico e perché

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Mauro Cervigni, Segretario scientifico AIUG, Associazione italiana di urologia ginecologica e del Pavimento pelvico
Mauro Cervigni, Segretario scientifico AIUG, Associazione italiana di urologia ginecologica e del Pavimento pelvico

È tra le 5 patologie più costose (e diffuse) al mondo Ne soffre un numero compreso tra il 20 e il 30 per cento di tutte le donne italiane e tra il 5 e il 10% degli uomini. Sono i numeri, con molti zeri, dell’Incontinenza urinaria, una patologia per la quale, nelle sue diverse forme, si prova vergogna e imbarazzo e per questo molto spesso chi ne soffre non va dal medico. Persino con la convinzione che, in particolare le donne più avanti con gli anni, in fondo faccia parte degli “acciacchi” dovuti all’età.

Insomma, un problema sanitario e sociale di enormi dimensioni che registra molto “sommerso” non diagnosticato e che invece potrebbe essere aggredito e risolto con grande successo. Ne abbiamo parlato con Mauro Cervigni, Segretario scientifico AIUG, Associazione italiana di urologia ginecologica e del Pavimento pelvico.

Professore, cominciamo da qualche numero… sappiamo che l’incontinenza urinaria è una patologia molto diffusa ma anche molto sottostimata? È possibile ipotizzare in quale misura?
Orientativamente potremmo dire che gli incontinenti riconosciuti come tali siano intorno ai 3 milioni. Molte persone, però, provano vergogna e imbarazzo a parlarne e non denunciano, o tardano a farlo, il proprio problema al medico. Per dare qualche numero potremmo dire che in Italia abbiamo 3 milioni di incontinenti accertati e almeno due milioni silenti.

E quando è il momento di andare dal medico?
Come tutte le cose della vita esiste una gradualità. Le forme iniziali, lievi, non hanno una grande necessità di attenzione immediata né di ricovero e cura. Un’incontinenza che necessita, invece, l’utilizzo di ausili come i pannoloni o impedisce la normale vita relazionale è ben altro conto. Immagini una donna che lavora a un qualsiasi sportello bancario o postale, o anche un’insegnante che ogni mezz’ora deve assentarsi… Un disagio che purtroppo crea molti problemi anche con i datori di lavoro che non sempre accettano questa situazione…

Poi ci sono altri motivi di preoccupazione e sono quando compaiono delle patologie concomitanti frequenti come le infezioni urinarie o, talvolta, difficoltà nei rapporti sessuali. Tutti elementi che ci dicono che è il caso di andare dal medico.

L’incontinenza poi, non dimentichiamolo, potrebbe anche essere sintomo di un problema ancor più grande e che potrebbe riguardare l’apparato urinario alto, ossia i reni. Quindi, finché il problema rimane circoscritto alla vescica e rimane nell’alveo dell’incontinenza gravi conseguenze di salute non ce ne sono. Ma se invece compaiono cistiti abbastanza “ribelli” o problemi che possono interferire con la funzionalità renale è chiaro che la patologia rischia di diventare più ingravescente e come tale deve essere trattata il prima possibile.

Quindi, professore, quanto incide una diagnosi precoce in termini di successo terapeutico e qualità di vita del paziente?
Beh, nel caso dell’incontinenza urinaria direi che più che di diagnosi precoce bisognerebbe parlare di diagnosi, punto. Purtroppo, peraltro, oggi il problema di fondo è questo: il messaggio dei media e della pubblicità, subliminale e confondente, è che basta indossare il pannolone  per risolvere tutti i problemi e condurre una vita normale. Purtroppo non è così. La diagnosi precoce ha certamente un’azione preventiva ma oggi la cosa fondamentale, lo ripeto, è fare una diagnosi.

Un messaggio, quello mediatico, purtroppo supportato anche dalla realtà sanitaria istituzionale…
In un certo senso sì. Oggi l’Italia, una delle tante anomalie di questo paese, è l’unico paese europeo (prima almeno eravamo in compagnia di Grecia e Portogallo) in cui i cittadini non hanno alcun rimborso dal Servizio sanitario nazionale per i farmaci contro l’incontinenza. E devono pagarseli per conto loro. Viceversa gli ausili sono gratuiti. Gravando peraltro sul sistema sanitario stesso per centinaia di milioni di euro all’anno senza alcuna prospettiva di diminuzione dal momento che con questi l’incontinenza non viene curata ma, semmai, arginata.

Abbiamo detto che molte persone che ne soffrono hanno timori e vergogna a parlarne. E su queste dinamiche comunicative le maggiori Società scientifiche hanno messo in atto campagne di comunicazione ad hoc. Con quale esito? E che ruolo potrebbe giocare il mondo istituzionale per questo problema?
Le società scientifiche e le Associazioni dei pazienti si sono sempre impegnate molto in tal senso con campagne di sensibilizzazione e con l’istituzione, il 28 giugno di ogni anno, di una giornata nazionale dedicata all’incontinenza. Le istituzioni potrebbero certamente fare di più ma è come un cane che si morde la coda… Da una parte l’istituzione eroga gratuitamente gli ausili che rappresentano fondamentalmente una “non diagnosi” e una “non cura”, di cui invece potrebbero beneficiare almeno il 65/70 % degli incontinenti, dall’altro immaginare che si impegni a sensibilizzare l’opinione pubblica sul fatto che l’incontinenza è un problema sociale, sembrerebbe una vera e propria contraddizione nei termini. Per fortuna qualche segnale positivo all’orizzonte c’è, a cominciare dal tavolo istituzionale che sta lavorando al ministero della Salute.

Oggi peraltro sono disponibili  trattamenti relativamente nuovi, come per esempio quello con tossina botulinica, che proprio recentemente ha visto riconosciuta la completa rimborsabilità da parte del Servizio sanitario nazionale. Come agisce, quali vantaggi offre, a chi è preferibilmente indirizzato e come e quando è possibile accedere allo stesso?
La tossina botulinica, in poche parole, paralizza la muscolatura. Somministrata in dosi microscopiche riesce a debellare le cosiddette spasticità, molto frequenti nei pazienti neurologici. Negli anni, grazie a questa proprietà, ne sono state studiate molte applicazioni in molte specialità, dall’otorinolaringoiatria all’oftalmologia, in medicina fisica e riabilitativa fino all’uro ginecologia dove ne è stata constata l’efficacia per bloccare la muscolatura vescicale. Quindi, nelle forme di incontinenza da urgenza, quella che tradizionalmente viene identificata con a la cosiddetta “incontinenza da serratura” (legata all’immagine di non fare in tempo ad entrare in casa…) è stata utilizzata inizialmente come off label, ossia fuori dall’indicazione clinica, e oggi è riconosciuta nel trattamento della vescica iperattiva. E’ stata utilizzata prima di tutti nel paziente neurologico con gravi problematiche di incontinenza legate alla condizione originaria, pensiamo ai paraplegici o alle vittime di incidenti stradali ma poi si è visto che era estremamente efficace anche nei pazienti non neurologici. Che rappresentano la stragrande maggioranza dei casi.

E’ un trattamento che è possibile fare in ambito ambulatoriale e consiste in una infiltrazione nel muscolo vescicale di una dose infinitesima di tossina botulinica che ha la capacità di bloccare la contrazione anomala della vescica che determina l’incontinenza unitaria.  Normalmente va fatta ogni 6/8 mesi ma dipende dall’età. Il punto “critico” sono i 55 anni di età. Sotto i 55 l’incontinenza si ripresenta prima. Dopo i 55 anni, in presenza di una rigenerazione cellulare più lenta, l’intervallo è più lungo è può anche superare l’anno.

Al momento solo la Regione Piemonte, da poco più di un mese, ha definito un percorso ad hoc di presa in carico del paziente con incontinenza da urgenza e neurologica  (il cd. PAC). Nel Lazio, invece, è atteso a giorni ed anche altre Regioni si stanno muovendo in questa direzione. Quali vantaggi ne avranno i cittadini e quali professionisti?
Il paziente invece di prendere farmaci o indossare pannoloni, in caso di incontinenza da urgenza o neurologica, avrà un risultato risolutivo quasi immediato, in genere entro due massimo tre settimane, e durevole per 6/12 mesi, ad un costo totalmente a carico del Servizio sanitario nazionale anche per tutti gli esami necessari prima del trattamento e nel successivo follow-up. Per i professionisti semplifica enormemente le procedure in quanto operano una presa in carico globale del paziente senza doverlo indirizzare a destra e a manca per fare esami. Non mi sorprenderebbe, in questa prospettiva clinica e organizzativa, se in un prossimo futuro le indicazioni della tossina botulinica si estendessero un po’ a tutto il pavimento pelvico. Quindi non solo alla vescica ma, per esempio al retto, agli sfinteri, a tutta la muscolatura interessata.

 

Corrado De Rossi Re

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