Latte artificiale? Se contiene soia rischio effetti ormoni bimbi

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(Reuters Health) – I latti formulati contenenti soia potrebbero avere effetti ormonali sulle neonate. È quanto ha evidenziato una ricerca pubblicata sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism e coordinata da Margaret Adgent, del Vanderbilt University Medical Center di Nashville, nel Tennessee.

La premessa
“Sosteniamo fortemente l’allattamento al seno, come suggerito dall’American Academy of Pediatrics – ha sottolineato la ricercatrice – E per coloro che scelgono un latte in polvere, come indicato anche dai pediatri, non dovrebbero essere raccomandati quelli di soia, se non in rari casi come la galattosemia e il deficit ereditario di lattasi”. Secondo gli autori, l’esposizione ai composti che distruggono il sistema endocrino nelle prime fasi di vita potrebbe influenzare lo sviluppo riproduttivo. E i livelli di genisteina, una sostanza presente nella soia, misurati nel siero dei bambini alimentati con latte contenente soia, sarebbero equivalenti a quelli associati a problemi riproduttivi evidenziati in uno studio sugli animali da laboratorio.

Lo studio
Nello studio Infant Feeding and Early Development, i ricercatori hanno arruolato coppie madri-figli che avevano già deciso come alimentare i propri bambini, mantenendo questo metodo in modo esclusivo fino a 28 settimane per i figli maschi, o 36 settimane per le figlie femmine. L’analisi avrebbe incluso 102 bambini alimentati con latti formulati contenenti soia, 111 contenenti latte vaccino e 70 allattati al seno.

I risultati 
Sarebbe emerso che l’indice di maturazione delle cellule vaginali sarebbe stato significativamente più elevato nelle bambine che ricevevano latti formulati contenenti soia rispetto a quelli alimentati con latte vaccino, e l’involuzione uterina sarebbe stata più lenta. “Questo lavoro supporta l’ipotesi che i composti con attività estrogenica producono risposte simili agli estrogeni nei bambini”, ha spiegato Adgent. “Le differenze evidenziate in questo studio non sembrerebbero essere di interesse clinico e le potenziali conseguenze a lungo termine di questi cambiamenti sono ad oggi sconosciute”, ha precisato l’esperta, aggiungendo che dal momento che si tratta del primo studio di questo tipo “ha bisogno di essere replicato”.

Fonte: Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism
di Anne Harding

(Versione italiana Quotidiano Sanità/ Nutri&Previeni)

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