Negli Usa i consumi di cibo si calcolano dai tweet

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Un gruppo di ricercatori dell’Università del Vermont ha inventato uno strumento che permette di calcolare il ‘contenuto calorico’ di un tweet. Si chiama “Lexicoalimenter”, e ha fatto la sua dignitosa comparsa in uno studio pubblicato sulla rivista PLOS One. Ovviamente, visto che i tweet non si possono mangiare, quello che viene rilevato non è un consumo diretto bensì il suo ‘resoconto social’.

Analizzando 50 milioni di tweet scritti negli Stati Uniti tra il 2011 e il 2012, i ricercatori hanno infatti rilevato che gli americani twittano ciò che mangiano con una certa costanza. Associando tweet con parole come mela, gelato, fagioli e bacon, per citare le più diffuse, ad altre relative ad attività fisiche come passeggiare, sciare, guardare la tv ed altro, il Lexicoalimenter è in grado di definire l’input e l’output calorici in report suddivisibili per aree geografiche grazie alla geolocalizzazione dei messaggini.

Il Lexicoalimenter è stato infatti ideato come strumento comparativo per poter condurre studi online sulle abitudini alimentari e sulla salute degli americani in tempo reale. Dallo studio è emerso per esempio che il Colorado, dove prevalgono tweet con parole associate come spaghetti e jogging, è lo stato americano con un maggiore bilanciamento calorico tra qualità di cibi consumati e attività fisiche, mentre quello più sbilanciato è il Mississippi (prevalgono ‘dolci’ e ‘mangiare’). In generale il maggior apporto calorico, ovvero l’alimento più twittato, è la pizza, mentre per quanto riguarda le attività, quella che prevale è ‘guardare film in tv’.

I ricercatori del Vermont, che collaborano attivamente con i colleghi del MIT e di Berkley, hanno intenzione di creare tutta una serie di strumenti online e tra i prossimi potrebbero esserci un misuratore dell’insonnia e uno dei mal di testa, due temi molto twittati. “L’obiettivo – ha spiegato Chris Danforth, alla guida del team di ricercatori del Vermont – è arrivare a rilevazioni sulla popolazione in tempo reale e aiutare chi gestisce la sanità pubblica a formulare proposte per il miglioramento della politica sanitaria”.

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