5 milioni di morti l’anno “malati” di sedentarietà

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obesitàLa sedentarietà assoluta ha raggiunto ormai proporzioni epidemiche e rappresenta la IV causa di mortalità e disabilità nel mondo occidentale, contribuendo a 5 milioni di decessi l’anno. Ecco perché è nato il “Personal Activity Index (PAI)”, uno strumento per valutare il movimento e promuovere l’attività fisica come prevenzione primaria del rischio cardiovascolare, presentato al congresso della Società europea di cardiologia (Esc) di Roma.

Spiegano gli esperti
“Gli italiani ad esempio – spiega Michele Gulizia, direttore della cardiologia presso l’ospedale Garibaldi di Catania e ESC Local Press Coordinator – dicono sì allo sport, ma solo se da guardare alla tv. Appena il 33,2% tra i 18 e i 69 anni infatti può essere considerato realmente ‘attivo’, il 35,8% lo è ‘parzialmente’ (ossia fa qualche attività nel tempo libero senza però raggiungere i livelli raccomandati) e il 31% è completamente sedentario. Perfino nei minori, un recente rapporto ha evidenziato un quadro drammatico e tutt’altro che confortante: il 23% non svolge regolarmente attività motorie nel tempo libero, l’11% nemmeno a scuola e il 63% cammina globalmente non più di mezzora al giorno”.

Se i programmi sportivi in televisione non motivano a praticare sport – aggiunge Leonardo Bolognese – direttore della cardiologia presso l’ospedale di Arezzo e ESC Local Press Coordinator – le strategie attuali per promuovere l’attività fisica hanno scelto di muoversi verso programmi personalizzati. Lo svolgimento individuale dell’attività fisica è infatti assai eterogeneo e multidimensionale oltre che complesso da misurare, tanto che una discrepanza nello status di attività che ciascuno si attribuisce è ben presente nella nostra esperienza quotidiana. È vero che esistono molti metodi per stabilire la spesa energetica minuto per minuto ma non esiste ancora un qualcosa capace di catturare tutte le informazioni e i parametri rilevanti per l’attività fisica. Creare dunque un algoritmo funzionante che incorporasse i fattori dell’attività fisica, necessari a migliorare la fitness cardiorespiratoria e ridurre in maniera sostanziale il rischio di mortalità cardiovascolare a lungo termine, è stato esattamente lo scopo dello studio presentato al Congresso Esc 2016.

Lo studio per il PAI
Per determinare l’algoritmo – chiamato PAI, acronimo di Personal Activity Index – è stato utilizzato l’HUNT Fitness Study, basato su una serie di domande relative alla frequenza, alla durata e all’intensità dell’esercizio in modo da definire il grado di intensità: bassa, media e alta – rispettivamente il 44%, il 73%, e l’83% della riserva cardiaca. Per validare il dato, son state valutate oltre 39,000 persone, uomini e donne appartenenti alla popolazione sana pari e l’indice è stato diviso in tre gruppi di attività: meno di 50, tra 51 e 99, e più di 100 rispetto al valore zero usato per indicare l’inattività assoluta. Dopo un follow-up significativo di ben 28 anni e 7 mesi si erano verificate 10,062 morti, delle quali 3867 causate da malattia cardiovascolare, ma gli uomini e le donne con un livello PAI maggiore di 100 avevano un rischio ridotto di mortalità cardiovascolare – comparata al gruppo di inattivi – pari al 23%.
La riduzione di rischio corrispondente, per la mortalità da tutte le cause, è stata del 13% per gli uomini e del 17% per le donne. Ne segue una conclusione determinante: il PAI è in grado di predire la mortalità cardiovascolare a lungo termine e si tratta di un algoritmo che potrebbe essere utilizzato come strumento motivazionale per cambiare il proprio stile di vita. Si pensa quindi di incorporarlo in un dispositivo portatile che possa essere indossato dal soggetto che fa attività in modo che sia misurata in maniera standardizzata e incentivi il movimento mostrando i progressi e l’abbassamento del rischio.

Altro studio
Un’altra ricerca – aggiunge Franco Romeo – Direttore Cardiologia Policlinico Tor Vergata di Roma e ESC Local Press Coordinator – ha voluto indagare gli effetti dell’attività fisica amatoriale sul rischio cardiovascolare in una popolazione di soggetti anziani. L’idea è stata sviluppata da un’equipe di ricercatori finlandesi dell’Università di Oulu studiando retrospettivamente un gruppo di 2409 uomini e donne tra i 65 e i 74 anni. Questi avevano partecipato, anni prima, ad una indagine sui fattori di rischio e l’equipe finlandese nel corso dello studio ha incrociato i dati sui decessi intercorsi dai registri anagrafici nazionali. Il livello di attività fisica era auto-dichiarato ed è stato classificato in tre livelli: basso, moderato e alto. Il rateo di rischio per mortalità cardiovascolare è stato individuato in 0.40 per i soggetti che facevano attività moderata, 0.29 per quelli che eseguivano un’attività intensa e rispettivamente 0.65 e 0.50 per il rischio di mortalità paragonato agli ‘oziosi’. I ricercatori sono così giunti alla conclusione che l’attività fisica sia inequivocabilmente associata alla riduzione del rischio cardiaco anche se eseguita in età avanzata e sia indipendente dai maggiori fattori di rischio noti.

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