Ipertensione: il gusto si abitua in fretta a una dieta con poco sale

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Ridurre il consumo di sale senza che ciò sia percepito come una privazione è possibile e permette di ridurre la pressione arteriosa nelle persone più a rischio. È quanto è emerso da un piccolo studio condotto all’University of Kentucky di Lexington (Usa) presentato nel corso del congresso EuroHeartCare della European Society of Cardiology (ESC).

La ricerca ha coinvolto 29 persone con ipertensione, una parte dei quali è stata coinvolta in un programma educazionale che prevedeva una lezione a settimana erogata via tablet. Il programma, che è durato 16 settimane, era finalizzato ad acquisire consapevolezza sul consumo di sale, sui rischi a esso associati e sui benefici derivanti dalla riduzione del sodio. “Uno dei primi passi è stato far sì che i pazienti si rendessero conto di quanto sale stessero mangiando”, ha detto la prima firmataria dello studio Misook Chung.

Nel corso dello studio i volontari sono stati accompagnati nella progressiva riduzione del contenuto di sale nell’alimentazione, finché non hanno cominciato ad abituarsi al nuovo gusto dei cibi. “Nel gruppo di intervento, l’assunzione di sodio è diminuita di 1.158 mg al giorno, una riduzione del 30% rispetto all’inizio dello studio, mentre il gruppo di controllo ha aumentato l’assunzione giornaliera di 500 mg”.

Contemporaneamente, però, questo risultato ha coinciso con un maggiore gradimento della dieta con poco sale: in una scala di 10 punti, il gradimento è passato da 4,8 a 6,5 al termine della ricerca. Inoltre lo studio ha fotografato una riduzione della pressione massima di 10 punti, passata da un valore medio di 143.4 mmHg a 133.9 mmHg, e la minima di 4 punti (da 85,9 a 81,7).

“Il nostro studio indica che possiamo riqualificare le nostre papille gustative per gustare cibi a basso contenuto di sodio e ridurre gradualmente la quantità di sale che mangiamo”, ha concluso Chung. “Il programma di adattamento graduale del gusto ha il potenziale per contribuire a controllare la pressione sanguigna, ma deve essere testato in uno studio più ampio con un follow-up più lungo”.

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