Il latte è un elemento costante che accompagna da sempre l’alimentazione degli italiani.
Il trend, tuttavia, segnala una certa confusione nelle scelte alimentari: a farlo pensare è una ricerca condotta da dal gruppo di Psicologia dei Consumi della Facoltà di Scienze Agrarie Alimentari e Ambientali dell’Università Cattolica di Piacenza, diretto da Guendalina Graffigna, presentata in occasione della Giornata Mondiale del Latte a Cremona, il 31 maggio.
L’iniziativa è stata promossa da IDF (Federazione Internazionale del Latte), con il supporto della Fondazione Invernizzi, in collaborazione con la stessa Università.
L’indagine ha preso in esame un campione rappresentativo della popolazione italiana di 1104 persone, con un focus particolare su 269 mamme con figli da 1 a 22 anni, attraverso la compilazione di un questionario scientificamente validato volto ad esplorare e misurare i comportamenti, gli atteggiamenti, le motivazioni e le informazioni che ruotano intorno al consumo di latte.
Stando ai risultati, nell’ultimo mese il 31% della popolazione italiana dichiara di aver consumato spesso latte vaccino fresco, nel 25% dei casi dichiarano di aver bevuto latte senza lattosio e nel 20% di aver consumato bevande vegetali alternative.
.“E’ fondamentale fare chiarezza sui falsi miti che accompagnano il latte e i suoi derivati, partendo da presupposti scientifici chiari e confermati dalle ricerche”, spiega Lorenzo Morelli, Professore ordinario di Biologia dei Microrganismi e Direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. “Purtroppo oggi, a fronte di evidenze molto precise sull’utilità del consumo di latte nell’ambito di un’alimentazione mediterranea come fonte di proteine e minerali (a partire dal calcio) a basso costo, si assiste in alcuni casi ad un inspiegabile demonizzazione di questo alimento. Il tutto mentre, secondo la FAO, più di 750 milioni di persone nel mondo sono impiegate nella produzione del latte, che nel 2018 ha raggiunto 843 milioni di tonnellate, crescendo del 2,2% rispetto al 2017”.
Latte e calcio
“Latte e prodotti lattiero caseari sono una fonte privilegiata di calcio non solo per la notevole quantità che ne forniscono, ma anche per l’elevata biodisponibilità di questo elemento minerale che, facilitata da lattosio, caseina e fosforo, è tra le più alte. Per questo le Linee Guida e le raccomandazioni ne promuovono il consumo”, spiega Andrea Ghiselli, Dirigente di Ricerca del Centro di Ricerca-Alimenti e Nutrizione e Presidente della Società Italiana di Scienze dell’Alimentazione,“Il latte bovino contiene infatti, in media, 1200 mg di calcio per litro. Un quinto di questo calcio è legato alla caseina come colloide organico insolubile e il rimanente 80% è in forma minerale. Di quest’ultimo il 45% sotto forma di fosfato tricalcico, anch’esso in forma colloidale e il 35% solubile. Il calcio legato alla caseina, sia organico che minerale, è rapidamente rilasciato nelle fasi digestive ed è di elevata biodisponibilità, contrariamente alla quasi sempre scarsa – e comunque inferiore – biodisponibilità del calcio vegetale che risente dell’azione inibitoria di vari composti”.
“ Inoltre il calcio dei latticini – continua Ghiselli . può essere assorbito, se pur in parte, anche senza l’intervento della vitamina D, ma per effetto del lattosio che ne aumenta l’assorbimento passivo. Questo può essere un meccanismo estremamente importante in un Paese con alta prevalenza di ipovitaminosi D come il nostro. I prodotti lattiero caseari contengono inoltre una grande varietà di nutrienti, tra i quali il fosforo, essenziale per la deposizione del calcio nell’osso”.
Intolleranza al latte
“L’intolleranza al lattosio, che non va confusa con l’allergia, va dimostrata con test specifici e scientificamente validati”, sottolinea Ghiselli. “Il malassorbimento di lattosio è infatti una condizione abbastanza diffusa nella popolazione adulta, ma che quasi mai necessita della eliminazione del latte. La stragrande maggioranza dei mal assorbenti lattosio può consumare una bella tazza di latte senza sintomatologia. La restante minoranza invece di rinunciare, può consumare due porzioni a distanza di tempo l’una dall’altra. La prima norma è consumare regolarmente piccole quantità di lattosio: in questo modo si “adatta” la flora batterica del colon che impara a digerirlo, permettendo il consumo di quantità maggiori. Inoltre, consumando anche yogurt, forniamo all’organismo anche l’enzima lattasi che aiuta nella digestione. I formaggi stagionati sono a contenuto quasi nullo di lattosio. Consumare latte insieme ad altri alimenti, come in Italia facciamo per la prima colazione, rallenta lievemente il transito intestinale facilitando la digestione del lattosio”.
“Solo nelle forme più gravi si può ricorrere al latte delattosato, il cosiddetto latte HDc – conclude Ghiselli -che si può acquistare nei punti vendita oppure si può ottenere in casa tramite l’uso di lattasi da sciogliere nel latte. Addirittura si può assumere lattasi poco prima del consumo di latte e lasciare a lei il compito della digestione. Insomma non ci sono ragioni valide per eliminare i prodotti lattiero-caseari dalla dieta, la cui rinuncia può comportare gravi svantaggi nutrizionali, primo fra tutti, ma non unico, non permettere un adeguato apporto di calcio e quindi un rischio per osteoporosi e fratture secondarie”.