Nel maggio 2013, una nuova categoria di disturbi alimentari emerse nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, (DSM5 – V edizione), lo strumento cartaceo che che classifica i disordini psichiatrici. Ora, due anni più tardi, nuove acquisizioni degli esperti del SickKids, ospedale pediatrico dell’Eastern Ontario (CHEO) portano a riflettere sull’impatto clinico della diagnosi di quell’emergente disordine alimentare denominato ARFID (Avoidant/Restrictive Food Intake Disorder) in un articolo pubblicato sul Journal of Adolescent Health online.
Si tratta, più precisamente, di un problema che colpisce i bambini nell’età prescolare e che è descritto come una sostanziale restrizione dell’assunzione di cibo, associato alla perdita di peso o alla mancanza del previsto aumento di peso nel contesto fisiologico che, in buona parte dei casi, si accompagna a un disagio psicosociale.
“ARFID non è solo un problema di bambini “schizzinosi” col cibo – è una categoria diagnostica molto impegnativa nel DSM-5,” dice il coautore dell’articolo Debra Katzman, che fa parte dello staff del SickKids. “Questi ragazzini hanno un complesso di problemi, e questa condizione persiste per lunghi periodi di tempo, e richiede un trattamento per affrontare, sia gli aspetti medici, sia le problematiche psicosociali. Se non trattata, questa condizione iniziale dell’infanzia, può portare a complicanze gravi nel lungo termine.”
Oltre ai disturbi fisiologici causati dalla malattia, ci sono gravi implicazioni sociali, soprattutto per i ragazzi più grandicelli, le cui interazioni sociali sono spesso centrate intorno al cibo. “Per i ragazzi che sono in grado di andare a mangiare la pizza con gli amici, la condizione può essere socialmente limitante”, dice la Katzman, che è anche professore di Pediatria presso l’Università di Toronto.
“I genitori hanno un ruolo significativo per identificare i modelli alimentari malsani nel loro bambino”, dice il coautore Mark Norris, medico adolescentologo e Professore Associato di Pediatria presso il Dipartimento di Pediatria del CHEO. “I genitori interessati dovrebbero parlarne al pediatra o al medico di famiglia nella fase iniziale, piuttosto che lasciare che il problema persista per mesi o addirittura anni.”
In parole semplici, non si tratta solo di “bambini difficili o troppo esigenti” che rifiutano di mangiare certi cibi, ma di bambini che nel lungo termine possono sviluppare problemi psicologici ben più gravi.