Reportage/ Pepe. Fa bene ma senza esagerare

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A leggere le ricette, sembra proprio che non ci sia gusto senza pepe. Insieme al sale, questa spezia di origine indiana è quasi sempre annoverata tra gli ingredienti base per dare più sapore ai piatti e per impreziosirli. Ma cosa c’è dietro i grani macinati che non mancano sulle nostre tavole? In realtà, dal momento che il pepe viene consumato in ‘pizzichi’, a parte le proprietà organolettiche c’è poco a livello nutrizionale. A fare la differenza sarebbe un alcaloide, una molecola attiva nota come piperina. Diversi gli effetti di questa sostanza ipotizzati dalla medicina ayurvedica e cinese, che hanno spinto molti ricercatori ad approfondirne le proprietà.

Cosa c’è nel pepe?
Quando si parla di pepe, si presentano le sue proprietà organolettiche, che si riferiscono a quel caratteristico sapore piccante e intenso che la spezia conferisce agli alimenti, tanto da essere ormai alla base di numerosi piatti anche della tradizione italiana, dalla pasta cacio e pepe al filetto al pepe verde, senza dimenticare, poi, i numerosi insaccati ai quali viene aggiunto per esaltarne il sapore. Visto il quantitativo minimo di pepe che si consuma, infatti, “è meglio parlare delle molecole bioattive che contiene, piuttosto che dei valori nutrizionali”, sottolinea Tiziana Stallone, biologo nutrizionista. Il componente principale del pepe è la piperina, un alcaloide, ovvero una sostanza di origine vegetale con effetti farmacologici sull’organismo. Questa molecola, che si ritrova sia nella polpa che nel seme del pepe, è responsabile del caratteristico sapore pungente della spezia. Mentre per quanto riguarda gli effetti sull’organismo, diversi studi hanno mostrato come la piperina aumenti la biodisponibilità di alcune sostanze, potenziando la loro efficacia. Questo sarebbe l’effetto più importante dell’alcaloide e potrebbe dipendere dalla capacità della piperina di inibire la glicoproteina P, un trasportatore che diminuisce l’efficacia dei farmaci e la cui inibizione, appunto, ha effetto contrario, potenziando l’attività di determinate sostanze che utilizzano il trasportatore per entrare nell’organismo. Si tratta di un meccanismo condiviso con altri alcaloidi, come la capsaicina del peperoncino e la sesamina del sesamo. Inoltre, sembra che la piperina inibisca l’azione dell’enzima CYP3A4, che metabolizzando i farmaci o i principi attivi ne riduce l’attività. Un esempio interessante è la capacità della piperina di aumentare l’effetto della curcuma, una spezia ad azione antiinfiammatoria naturale. “È stato dimostrato in laboratorio che la piperina potenzia di mille volte l’estrazione del principio attivo della curcuma, la curcumina”, spiega l’esperta. Ecco perché molti integratori in commercio a base di curcuma comprendono anche la piperina, ritenuta indispensabile affinché la curcumina faccia effetto. C’è da precisare, in ogni caso, che si tratta di un’azione non riscontrabile con il consumo alimentare, in cui la quantità di pepe ingerita è bassa.

Effetto dimagrante?
Per quanto riguarda il presunto effetto dimagrante della piperina, un recente studio pubblicato su PNAS e coordinato da un ricercatore dell’Università di Padova, Leonardo Nogara, ha evidenziato che questo alcaloide avrebbe un effetto nell’attenuare obesità e diabete di tipo 2 aumentando il metabolismo della muscolatura scheletrica nella fase di riposo. Meglio, comunque, essere cauti e affermare che la piperina “ha blandi effetti termogenici in associazione ad altre sostanze e può essere usato in prodotti che aiutano nel mantenimento del peso corporeo”, sottolinea Stallone. Sicuramente, comunque, “il pepe può aiutare a magiare di meno – spiega l’esperta -, dal momento che, aggiunto alle pietanze, dà un senso di sazietà”. Oltre all’alcaloide, il pepe contiene dei terpeni con una blanda attività antiossidante e sali minerali in tracce.

Quando il pepe diventa dannoso
Anche se usato a ‘pizzichi’, con il pepe è comunque bene non esagerare, soprattutto in presenza di determinati disturbi. Un eccesso di piperina, infatti, è irritante per le mucose, soprattutto quelle dello stomaco. Per questo, il consumo eccessivo di pepe “è da evitare nelle persone che soffrono di reflusso gastro-esofageo, anche perché la piperina stimola proprio la secrezione acido-gastrica. Inoltre – spiega l’esperta – irritando anche la mucosa della vescica, si pensa che questa spezia sia coinvolta nella acutizzazione della cistite, ed è dunque da evitare tra chi soffre di questo disturbo”. In realtà, l’effetto irritante è comune ad altre spezie dal sapore piccante, come il peperoncino, ma negli ultimi anni si è parlato molto di più del pepe, di fatto penalizzando questa spezia più di altre. Come nel caso degli effetti sulle emorroidi, “per le quali fanno male il pepe così come altre spezie piccanti”, spiega la nutrizionista. L’effetto irritante può manifestarsi anche a livello delle vie respiratorie. “È il motivo per cui quando annusiamo il pepe ci viene da starnutire”, sottolinea Stallone. In ogni caso, al dosaggio a cui viene comunemente utilizzato, non ci sono rischi.

I tipi di pepe
I grani della spezia si presentano in colori differenti, dal nero al verde, dal rosso al bianco, ma la pianta è sempre la stessa: un arbusto della famiglia delle piperacee chiamato Piper nigrum e originario del Kerala, una regione a sud dell’India, da dove ha conquistato nei secoli le tavole di tutto il mondo, diventando una delle spezie più utilizzate. A essere raccolto è il frutto della pianta, una bacca che a maturazione è di colore rosso e dalla lavorazione della quale derivano i diversi tipi di pepe. Il primo ad essere raccolto è il pepe verde, che si produce quando la bacca è ancora acerba. Durante la fase di essiccazione, poi, il frutto viene trattato chimicamente per far sì che mantenga il colore caratteristico della bacca acerba. Si può quindi lasciare al naturale o conservare in salamoia. È il più delicato tra tutti i tipi di pepe e ha un sapore fresco e aromatico. Ma quello di gran lunga più utilizzato in cucina è il pepe nero, dal sapore più piccante e intenso. La raccolta delle bacche, in questo caso, si esegue a metà maturazione, quando da verde il frutto comincia a diventare rosso. Le bacche vengono quindi lasciate essiccare al sole fino a 10 giorni. Per quel che riguarda il pepe bianco, invece, si tratta del frutto completamente maturo e lasciato in ammollo in acqua per rimuovere la superficie rossastra e raccogliere la bacca decorticata, che avrà un sapore meno piccante. Il pepe rosso, infine, è molto raro e si ottiene dai frutti maturi trattati con lo stesso procedimento di lavorazione del pepe nero, ma con una essiccazione più rapida per evitare che la fermentazione modifichi il colore rosso tipico della bacca matura. Mentre il cosiddetto ‘pepe rosa‘ non è in realtà una qualità della spezia, ma una pianta diversa, lo Shinus molle, originario dell’America Latina. Che sia verde oppure nero, rosso oppure bianco, dal momento che il pepe è importante soprattutto per le sue proprietà organolettiche, un consiglio su tutti è quello di usarlo macinato fresco, affinché le sue caratteristiche siano apprezzate al meglio.

Un po’ di storia
Il pepe è stato uno dei primi prodotti ad essere commercializzato come merce di scambio, già quattromila anni fa in India. Alcuni grani, inoltre, sono stati ritrovati nella tomba di un faraone egiziano. Mentre in Europa, sembra che il pepe sia arrivato con Alessandro Magno, grazie al quale divenne molto popolare nell’antica Grecia e tra i romani. Inizialmente, però, era una spezia molto costosa, dunque destinata solo alle persone più agiate. Il suo commercio è stato per secoli monopolio degli arabi, fino a quando, con la caduta dell’Impero bizantino, Venezia divenne il principale centro di commercializzazione. Un monopolio, quest’ultimo, che durò finché i portoghesi non trovarono un accesso più semplice per raggiungere l’India via mare, prendendo l’esclusiva su questa spezia. Quando i portoghesi lasciarono il monopolio commerciale a inglesi e olandesi, intorno al 1600, si incrementarono le importazioni e il prezzo cominciò a scendere, finché questa spezia divenne disponibile per la maggior parte delle persone, che cominceranno ad usarla anche per mascherare il sapore della carne avariata o del vino non proprio buono.

L’utilizzo nella medicina orientale
Nella medicina ayurvedica, il pepe è tra le spezie di maggior pregio. Viene indicato nei raffreddori, come espettorante, per stimolare la digestione difficile, in caso di stitichezza e di obesità. Inoltre, viene consigliato in chi ha problemi respiratori o soffre di anemia. Per quel che riguarda la medicina tradizionale cinese, invece, è consigliato nei casi di intossicazione alimentare, diarrea e, in generale, problemi allo stomaco. E il pepe viene citato anche nel libro siriano di medicina del V secolo per trattare mal d’orecchio, insonnia, ascessi dentali e punture d’insetto. Di tutti questi effetti, comunque, non ci sono evidenze scientifiche e in ogni caso, dato il basso dosaggio utilizzabile per via dell’azione irritante sulle mucose, sembra improbabile che il consumo alimentare possa portare a effetti strettamente correlabili.

 

di Sabina Mastrangelo

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