Sindrome premestruale: scagionati i carboidrati

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(Reuters Health) – Mangiare più o meno zuccheri o altri carboidrati non ha nulla a che vedere con la sindrome premestruale. A scagionare il ‘tanto amato dagli italiani’ gruppo alimentare sono i ricercatori coordinati da Serena Houghton dell’Università del Massachusetts di Amherst. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sull’European Journal of Clinical Nutrition.

Lo studio
Per vedere se carboidrati o fibre presenti nella dieta, assunti prima che la sindrome premestruale inizi, avessero qualche influenza sul rischio di sviluppare la sindrome, Houghton e colleghi hanno esaminato i dati raccolti nell’ambito di un ampio studio a lungo termine. Tra i partecipanti, vi erano infermiere di età compresa tra 25 e 42 anni quando lo studio ha avuto inizio, nel 1989, e che hanno risposto a questionari sulla loro dieta e sul loro stato di salute. Quando i ricercatori hanno confrontato 1.234 donne che hanno avuto una diagnosi di sindrome premestruale con 2.426 donne che non avevano il disturbo, non avrebbe rilevato alcuna differenza nel rischio di sviluppare la sindrome nei 14 anni di follow-up sulla base dell’assunzione giornaliera di zuccheri totali, zuccheri aggiunti o naturali, saccarosio, fruttosio o glucosi.

Associazione sindrome-maltosio?
Solo uno zucchero, il maltosio, sarebbe stato associato a un aumento del 45% dei rischio di soffrire di sindrome premestruale tra le donne che ne consumavano di più, ma secondo i ricercatori ci sarebbe bisogno di ulteriori studi per valutare questo aspetto.

Pro e contro
“Le donne con sindrome premestruale clinicamente significativa hanno sintomi che interferiscono con molti aspetti della loro vita, come il lavoro, la scuola e le interazioni con amici e familiari e riuscire a prevenire questi sintomi sarebbe un vantaggio per molte donne”, afferma Houghton. Da un lato lo studio è attendibile, secondo Talitha Bruney del Montefiore Medical Center di New York, perché è stato seguito un ampio numero di donne, mentre tra le limitazioni ci sarebbe il fatto che i ricercatori hanno raccolto i dati da un questionario “che può portare alla mancanza di obiettività”.

Fonte: Europena Journal of Clinical Nutrition
di Shereen Lehman

(Versione italiana Quotidiano Sanità/ Nutri&Previeni)

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