La depressione postnatale non è legata agli ormoni

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shutterstock_150090437Una nuova ricerca australiana ha concluso che la depressione postnatale non è causata da ormoni, come finora ampiamente creduto, ma è piuttosto un riacutizzarsi di disturbi mentali già avuti in passato. Lo studio, guidato dall’epidemiologo George Patton del Children’s Research Institute di Melbourne, ha utilizzato i dati di giovani donne per 25 anni. L’equipe di ricerca ha formato un gruppo di 1000 partecipanti e ha comunicato con loro ogni sei mesi. Ha poi selezionato 384 soggetti con 564 gravidanze.

Nel progetto descritto sulla rivista medica The Lancet, gli studiosi hanno esaminato le partecipanti in cerca di manifestazioni cliniche indicanti depressione, utilizzando le misurazioni della cosiddetta Edinburgh Postnatal Depression Scale. Le partecipanti sono state esaminate tre volte: nella 32/ma settimana di gravidanza, otto settimane dopo il parto e un anno dopo la nascita. I risultati dello studio rivelano che l’85% delle partecipanti con gravi sintomi di depressione postnatale soffrivano di disturbi mentali già prima della gravidanza. In maggior parte, ne soffrivano già in adolescenza o poco dopo i 20 anni. I ricercatori hanno anche potuto formulare una previsione statistica riguardo ai rischi di depressione postnatale fra le partecipanti allo studio.

Le donne che avevano avuto problemi mentali in adolescenza o poco dopo i 20 anni avevano un rischio di uno a tre, mentre per chi non aveva precedenti di disturbi mentali il rischio era di uno a 12. “Per molto tempo si è pensato che la depressione perinatale fosse qualcosa di unico, che si verificasse solo in quella fase della vita e avesse a che fare con gli scompensi ormonali associati alla gravidanza”, scrive Patton. “La depressione perinatale ha il potenziale di danneggiare il legame con il neonato che è così essenziale per lo sviluppo emotivo del piccolo”, aggiunge. Secondo gli autori, i risultati dello studio possono aiutare a ridurre l’incidenza della depressione durante queste fasi se ci si concentra sulla popolazione ad alto rischio, assicurando adeguato supporto emotivo e sociale, come interventi di counselling.

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